Quando ho incontrato Bebe Vio ero molto emozionata. E anche turbata.
Come ci si rivolge a una persona come lei? Cosa avrei dovuto dire e cosa no?
Ci sono termini da non dire a una persona che, come Bebe, ha subito amputazioni così importanti?
Eravamo tutti un po’ preoccupati, io avrei dovuto consegnarle il premio, non sapevo come lei lo avrebbe preso, non sapevo se chiederle direttamente come fare o tentare di intuire.
“Bebe, dovresti mettere il braccialetto di Toyota.”
“Aspetta, ti do la mano così lo metti tu”
Ecco, Bebe Vio è così, una forza fuori dal comune, sa sdrammatizzare l’attimo, coglie la tua paura e la anticipa, sorridendo. Tu pensi che sia lei ad essere in imbarazzo e in un momento invece tutto si scioglie, libero. E i limiti che tu pensavi ci sarebbero stati si annullano.
“La vita sa essere cattiva” dice Bebe nel suo racconto, spesso ti toglie tutto, ti lascia senza mezzi per ricominciare. La malattia le ha tolto tanto, è vero, ma lei ha saputo con grinta, coraggio, una forza d’animo unica, riprendere in mano la sua adolescenza, e lo ha fatto curando la sua passione, la scherma, tenendosi stretta alla sua famiglia che l’ha supportata ma non protetta. L’ha aiutata a crescere.
Ho conosciuto la mamma di Bebe Vio, mi ha detto che segue sua figlia solo negli impegni pubblicitari, per tutto il resto legato allo sport la lascia in completa autonomia. E non potrebbe essere diversamente, Bebe sa quello che vuole, e agisce di conseguenza.
Porto a casa tanto da questo incontro: la consapevolezza che la vita è difficile sì, ma anche straordinaria. Che i problemi si possono affrontare e superare. E che se si crede nei propri sogni, ecco, i sogni si avverano.
Grazie Bebe.