Ciò che salta agli occhi quando si ammira un’opera Kintsugi è l’oro, la sua bellezza, lucentezza, il riflesso magico e le linee, uniche, irripetibili, create sulla superficie della ceramica.
Ma se solo si scava più a fondo, approfondendo tecnica e materiali, ci si accorge che Kintsugi è prima di tutto un’arte preziosa di restauro giapponese che utilizza materiali, tra cui l’oro, completamente naturali, così come gli strumenti.
Così oggi, così alla fine del XV secolo.
Parto dai materiali: la lacca urushi, che segue tutte le fasi della lavorazione, è una resina naturale estratta dalla pianta Rhus Verniciflua, una pianta autoctona che cresce spontanea e coltivata in Giappone, Cina, Vietman, Corea. La lacca è la linfa della pianta: allergizzante quando fresca, viene raccolta da marzo a ottobre dopo che la pianta ha raggiunto i 10 anni di vita. Una volta polimerizzata, la linfa perde la sua tossicità, diventa impermeabile e resistente ai cibi e liquidi.
La lacca, come detto, viene utilizzata durante tutte le fasi del restauro, in tre diverse modalità.
Ki Urushi
– come aggrappante sulle rotture prima di procedere all’incollaggio
– mescolata a farina di grano – Mugi urushi- o farina di riso -Nori urushi- come collante
– mescolata a tonoko (argilla secca), jinoko (farina fossile), segatura di legno, come stucco.
Kuro – Rojro Urushi (lacca nera)
– come impermeabilizzante per le stuccature
– come base per Gintsugi, polvere d’argento
Bengara Urushi (lacca rossa)
– come base per Kintsugi, polvere d’oro.
Avete notato che la lacca si mescola ad altri materiali, tutti completamente naturali: farina, argilla e legno.
Il diluente della lacca urushi, che viene anche utilizzato per pulire gli attrezzi, è l’essenza di trementina, distillato in corrente di vapore dalla trementina, resina delle conifere.
Per pulire i pennelli e mantenerli in ottimo stato, si usa l’olio di camelia (o in mancanza, olio d’oliva)
Quali strumenti si usano? Spatole in legno, in bamboo, tavoletta di vetro, ciotoline in porcellana, pennelli in setola animale con manico in bamboo. Per la carteggiatura carbone o carta a vetro.
Da ultimo, a chiudere il cerchio immaginario della fragilità ricomposta, la polvere d’oro, 24kt, (o la polvere d’argento) che viene fatta cadere sulla linea in bengara urushi (o kuro urushi), con un pennello, la spatola o il wata, cotone di seta e poi brunita, se necessario, con pietra d’agata o dente d’orata o di altro pesce.
Il prodotto finito è una ceramica restaurata, atossica, impermeabile e riutilizzabile per contenere cibi e bevande, con solidità e bellezza.
Avete visto, leggendo questo breve viaggio dentro a un restauro Kintsugi, durato poche righe ma che in realtà dura da uno a tre mesi dall’inizio al suo compimento, che i materiali e gli strumenti sono completamente naturali, essenziali e preziosi ora così come alla fine del 1400.
E materiali così preziosi, frutti che la natura rigogliosa spesso ci dona e che l’uomo negli anni ha saputo usare, vengono utilizzati su materia ugualmente naturale, la ceramica: terra, fuoco e manualità creativa.
Kintsugi quindi, come spesso mi trovo a raccontare, è lungi da essere -solo- la metafora delle ferite ricomposte, una linea dorata realizzata frettolosamente con resina epossidiche e pigmenti dorati, con pennello e polveri: Kintsugi è la narrazione dell’unione tra uomo e natura e il suo rispetto, sempre, nel suo utilizzo.
Invito quindi, così come faccio ogni volta con i miei allievi, a considerare tutte le sfumature e a usare questa tecnica con silenzio e pace, respirando, come i monaci Zen, il rumore del vento tra i pini.